La persona con insufficienza renale cronica

La funzione dei reni

I reni sono due organi di forma simile ad un fagiolo, lunghi circa 12 cm e larghi 6, posti nella regione lombare ai lati della colonna vertebrale. Il compito principale dei reni è quello di filtrare il sangue per eliminare nell’urina scorie, sali ed acqua nella quantità necessaria. Tra le sostanze eliminate dal rene ricordiamo quelle che contengono azoto (urea, creatinina e acido urico), il sodio, il potassio, gli acidi e molti farmaci. Ogni rene contiene circa un milione di piccole unità funzionali (nefroni) composte da un glomerulo ed un tubulo. Il glomerulo è formato da una matassa di vasi sanguigni che filtrano il sangue formando un liquido chiamato pre-urina che scorre poi dentro il tubulo. Questo tubo lungo e sottile riassorbe le sostanze utili e buona parte dell’acqua contenuta nella pre-urina e la trasforma nell’urina vera e propria. L’urina prodotta da tutti i tubuli del rene viene versata nella pelvi renale, entra nell’uretere e si raccoglie nella vescica da cui poi viene eliminata all’esterno con la minzione.

I reni producono anche alcuni importanti ormoni:

  • la forma attiva della vitamina D che regola l’assorbimento del calcio dall’intestino e ne favorisce la deposizione nell’osso;
  • l’eritropoietina che stimola la produzione dei globuli rossi;
  • la renina ed altre sostanze che contribuiscono a regolare la pressione arteriosa.

L’insufficienza renale cronica

Tutte le strutture che compongono i reni possono essere colpite da malattie che, in un tempo più o meno lungo, ne danneggiano la funzione, riducendo sia la capacità di eliminare normalmente scorie, sali ed acqua che quella di produrre ormoni. Molto spesso sono la pressione arteriosa elevata (ipertensione) o il diabete a danneggiare i reni, ma ci sono anche malattie che colpiscono esclusivamente i reni (ad es. le glomerulonefriti) o le vie urinarie (ad es. la calcolosi) e le malattie ereditarie (ad es. la malattia renale policistica).

Alcune malattie renali possono manifestarsi con alterazioni visibili come:

  • l’urina rossa o color coca-cola per la presenza di sangue (ematuria)
  • il gonfiore (edema) o la difficoltà di respirare per la ritenzione di liquidi
  • il pallore per l’anemia.

Spesso, però, gli unici segni di malattia sono costituiti dall’aumento della pressione arteriosa e/o da alterazioni delle analisi di laboratorio:

  • l’esame dell’urina può mostrare la presenza di una quantità eccessiva di proteine (proteinuria) o di sangue non visibile ad occhio nudo (microematuria)
  • l’esame del sangue può mostrare l’aumento di alcune sostanze che si accumulano nell’organismo perché non vengono eliminate normalmente dai reni.

Il dato più frequente è l’aumento della creatininemia e dell’azotemia.

Ci sono malattie renali che guariscono se vengono diagnosticate e curate precocemente. Altre invece compromettono progressivamente il funzionamento dei reni.

Tuttavia, anche quando la funzione renale è già ridotta, è possibile rallentare e in alcuni casi arrestare l’evoluzione dell’insufficienza renale con la terapia conservativa.

Quando i reni perdono quasi completamente la loro funzione, l’organismo “si intossica” perchè le scorie, i sali e l’acqua si accumulano e possono causare un insieme di disturbi definito “uremia”:

  • stanchezza
  • nausea e/o vomito
  • ipertensione
  • pericardite (infiammazione della membrana che avvolge il cuore)
  • edema polmonare (presenza di liquido nei polmoni)
  • alterazioni del ritmo cardiaco.

Con l’inizio tempestivo della terapia sostitutiva della funzione renale (dialisi e/o trapianto) è possibile evitare che insorgano o si aggravino questi disturbi che, diversamente, porterebbero a morte.

La terapia conservativa

Quando non si può ottenere la guarigione di una malattia che compromette progressivamente la funzione renale, si può comunque rallentarne l’evoluzione e ridurre i danni causati all’organismo. È pertanto molto importante rispettare le prescrizioni del nefrologo ed eseguire con regolarità i controlli clinici e di laboratorio consigliati, anche quando la malattia si manifesta solo con alterazioni dei valori di laboratorio.

Per il resto, è generalmente possibile continuare a svolgere tutte le proprie attività, sia lavorative che di svago; solo per affrontare sforzi fisici molto intensi è importante chiedere consiglio al nefrologo.

La dieta in corso di insufficienza renale cronica è importante attenersi a una dieta caratterizzata da:

  • riduzione delle proteine e dei fosfati
  • riduzione dei grassi animali
  • riduzione del sodio e del potassio
  • calorie in quantità adeguata.

Per ottenere un apporto adeguato di proteine e calorie è spesso necessario utilizzare alimenti preparati con farine “aproteiche” (pane, pasta, biscotti, ecc.) disponibili in farmacia.

Alcuni farmaci, la dieta ed il controllo ottimale della pressione arteriosa possono favorire il mantenimento di una funzione renale sufficiente a svolgere una vita normale anche per molti anni. Infatti, anche poco tessuto renale funzionante può svolgere a lungo il lavoro necessario all’organismo. In alcuni casi la somministrazione di vitamina D permette di prevenire i danni a carico dell’osso. La terapia con eritropoietina può correggere la frequente anemia causata dalla ridotta produzione di questo ormone.

È inoltre opportuno consultare il nefrologo prima di prendere nuovi farmaci perchè alcuni, in particolare certi antidolorifici venduti anche senza ricetta medica, possono risultare dannosi per il rene. Per altri farmaci è importante che la dose venga adattata alla ridotta capacità del rene di eliminarli dall’organismo. È importante l’abolizione del fumo. Quando la funzione renale è molto ridotta è necessario decidere, insieme al nefrologo curante, con quale tipo di terapia iniziare a sostituire la funzione dei reni malati.

I nefrologi sono concordi nel considerare la dialisi peritoneale, l’emodialisi e il trapianto renale come possibilità diverse ma strettamente integrate nel trattamento dell’insufficienza renale, che possono o devono essere adottate in momenti successivi della vita della persona secondo un programma personalizzato. La conoscenza di queste opzioni da parte della persona malata è importante per esprimere la propria preferenza e collaborare attivamente alla buona riuscita della terapia adottata.

La terapia sostitutiva

La dialisi

Esistono due tipi di dialisi: extracorporea e peritoneale. Con entrambe il sangue della persona intossicata dall’uremia viene pulito mettendolo a contatto, attraverso una membrana, con un liquido (soluzione di dialisi) in cui passano le scorie, i sali e l’acqua che debbono essere eliminati e dal quale vengono assunte sostanze necessarie a correggere l’eccessiva acidità del sangue.

La dialisi dovrebbe essere iniziata prima che compaiano i sintomi dell’uremia, quando la persona si sente ancora discretamente bene.

In questo modo è possibile:

  • scegliere, insieme al nefrologo curante, il tipo di dialisi più adatto alle proprie condizioni cliniche ed al proprio stile di vita per iniziare la terapia sostitutiva;
  • concordare tempi e modi della preparazione alla dialisi e dell’inizio della nuova terapia, tenendo conto sia delle necessità cliniche che delle esigenze familiari, lavorative e sociali;
  • evitare il ricovero in ospedale o ridurne al minimo la durata ridurre il rischio di complicazioni;
  • La dialisi dura tutta la vita o fino a quando si effettua un trapianto renale; non cura la malattia renale, ma sostituisce la funzione depurativa dei reni.

Per sostituire la produzione di ormoni (vitamina D, eritropoietina) è quasi sempre necessario assumere anche dei medicinali. Allo stato attuale delle conoscenze mediche, l’emodialisi e la dialisi peritoneale consentono di ottenere risultati ugualmente buoni. La scelta del tipo di dialisi potrà comunque essere modificata quando le condizioni cliniche o la persona lo richiedano.

Emodialisi

L’emodialisi si esegue generalmente in una struttura sanitaria (ospedale o clinica) con assistenza di medici ed infermieri. Alcune persone possono eseguire il trattamento presso “Centri dialisi” in cui sono assistite dagli infermieri con la supervisione periodica del medico oppure possono fare la dialisi a casa, aiutate da un “partner dialitico” (generalmente un familiare) che impara a gestire il trattamento durante un periodo di formazione di alcuni mesi presso il Centro dialisi. Il sangue viene fatto scorrere in un filtro che si trova al di fuori dell’organismo dove entra in contatto, attraverso una membrana artificiale, con la soluzione di dialisi. Passando nel filtro il sangue cede alla soluzione di dialisi le sostanze tossiche, i sali e l’acqua che si accumulano nell’organismo tra una seduta dialitica e l’altra. Durante la circolazione extracorporea il sangue è mantenuto fluido somministrando dei farmaci. Il trattamento viene personalizzato scegliendo il tipo di membrana e la tecnica dialitica più idonea alla persona (emodialisi standard, emodiafiltrazione, ecc). Per preparare la soluzione dialitica, programmare il trattamento e controllarne lo svolgimento viene utilizzata un’apparecchiatura chiamata rene artificiale.

La seduta dialitica dura generalmente 4 ore e viene effettuata 3 volte alla settimana (lun – merc – ven oppure mart – giov – sab) a orario fisso, perché ogni “posto dialisi” è utilizzato da più persone che si alternano. Chi esegue la dialisi a domicilio può variare più facilmente l’orario delle sedute, d’accordo con il proprio Centro Dialisi. Durante tutta la seduta, il sangue da depurare viene prelevato e restituito alla persona attraverso un apposito “accesso vascolare” perché una semplice vena del braccio non può fornire la quantità di sangue necessaria. L’accesso vascolare più utilizzato è una vena dell’avambraccio che riceve sangue direttamente da un’arteria vicina. La comunicazione tra l’arteria e la vena (“fistola arterovenosa”) viene realizzata chirurgicamente in anestesia locale, preferibilmente alcune settimane prima dell’inizio del trattamento dialitico per consentirne la “maturazione”. La parete della vena si irrobustisce progressivamente e può essere punta con due aghi ad ogni seduta dialitica. Il dolore da puntura della vena è generalmente lieve e transitorio. In alcune condizioni non vi è il tempo necessario per il confezionamento della fistola oppure le arterie o le vene della persona non sono adatte perché molto esili o danneggiate. In questi casi si utilizza come accesso vascolare un catetere collocato in una grossa vena o si costruisce una fistola con un vaso sintetico. Durante la seduta emodialitica sono possibili il calo della pressione arteriosa e/o i crampi; nelle ore successive al trattamento è frequente la sensazione di stanchezza. In caso di infezione della fistola arterovenosa viene subito prescritta una cura con antibiotici e, se l’accesso vascolare è un catetere, può anche essere necessario sostituirlo. È possibile che l’accesso vascolare funzioni male o si chiuda e se ne debba preparare uno nuovo. Raramente, se manca un accesso vascolare o i trattamenti extracorporei sono molto mal tollerati, può rendersi necessario il passaggio alla dialisi peritoneale.

Dialisi peritoneale (Dialisi intracorporea)

La dialisi peritoneale si esegue generalmente a casa.

La persona malata, o un “partner dialitico”, vengono istruiti in alcuni giorni (generalmente una settimana) a gestire il trattamento. Il Centro dialisi istruisce la persona che effettuerà le procedure dialitiche, prescrive e controlla la terapia, valuta l’andamento clinico e fornisce i materiali necessari. In rari casi la dialisi peritoneale viene eseguita in ospedale. La soluzione di dialisi, introdotta nella cavità peritoneale, entra in contatto con il sangue attraverso la membrana peritoneale che riveste gli organi addominali e che in questo caso viene utilizzata come un filtro. La depurazione avviene durante la sosta del liquido nella cavità peritoneale, senza dare disturbi, mentre la persona svolge le sue usuali attività. Il sangue che scorre nei vasi sanguigni della membrana peritoneale cede alla soluzione di dialisi le sostanze tossiche e i liquidi in eccesso. Il liquido di dialisi viene sostituito periodicamente (scambio) con una soluzione nuova. Questo tipo di dialisi favorisce, talora anche per anni, il mantenimento della diuresi (volume urinario).

Gli scambi si possono effettuare manualmente, cioè senza apparecchiature, 4 volte durante il giorno con una manovra che richiede 25-40 minuti (Dialisi Peritoneale Ambulatoriale Continua = CAPD). Gli orari degli scambi sono abbastanza flessibili e possono essere adattati alle abitudini della persona. In alternativa, gli scambi possono essere eseguiti di notte, per 8-9 ore mentre si dorme, con l’aiuto di una semplice apparecchiatura opportunamente programmata (Dialisi Peritoneale Automatizzata = APD) che viene fornita dal Centro dialisi. La durata della seduta di APD viene prescritta dal medico, ma l’orario di inizio può essere variato.

La cavità addominale viene messa in comunicazione con l’esterno attraverso un catetere sottile e flessibile che si usa per immettere e far defluire la soluzione di dialisi.

Il posizionamento del catetere attraverso la parete dell’addome viene realizzato chirurgicamente in anestesia locale, preferibilmente alcune settimane prima dell’inizio del trattamento dialitico.

Il catetere resta nascosto sotto gli abiti e si utilizza solo durante le manovre dialitiche.

Complicanze

In caso di infezione del punto di uscita del catetere peritoneale viene prescritta una cura a base di antibiotici e solo in alcuni casi può essere necessario sostituire il catetere.

L’infezione peritoneale (peritonite) è possibile ma poco frequente. Si viene istruiti a riconoscerne i primi segni, per comunicarli con tempestività al personale del Centro dialisi; la terapia antibiotica porta a rapida guarigione nella maggior parte dei casi.

Talora la membrana peritoneale si usura e la depurazione delle scorie o la rimozione dei liquidi diventano insufficienti, può rendersi necessario il passaggio all’emodialisi.

La vita in dialisi

La dialisi a casa

Sia l’emodialisi che la dialisi peritoneale possono essere eseguite a casa propria, ma il tipo di organizzazione necessaria è molto diverso nei due casi. L’emodialisi a domicilio è adatta soprattutto alle persone che non hanno altri importanti problemi di salute. Inoltre è una terapia complessa che richiede l’aiuto e la presenza durante le sedute di una persona adeguatamente preparata (“partner dialitico”). Generalmente il “partner dialitico” è un familiare che acquisisce le conoscenze e le competenze necessarie durante un periodo di formazione di alcuni mesi a cura del Centro dialisi.

È inoltre necessario installare a casa un apposito impianto per preparare l’acqua per la dialisi. Nella dialisi peritoneale il partner dialitico è necessario solo se la persona non può eseguire da sola le manovre dialitiche che sono semplici e richiedono alcuni giorni di apprendimento (generalmente una settimana). In CAPD la presenza del partner è necessaria solo durante la manovra di scambio; in APD è generalmente necessaria solo all’inizio ed al termine della seduta, mentre durante la seduta è sufficiente che il partner possa sentire e provvedere agli eventuali allarmi segnalati dall’apparecchiatura.

Il Centro dialisi

  • valuta l’idoneità degli ambienti
  • valuta l’idoneità psicofisica della persona e dell’eventuale “partner dialitico” ad iniziare ed a proseguire il trattamento a domicilio
  • stabilisce e verifica le competenze tecniche acquisite dalla persona e dall’eventuale “partner dialitico” durante il periodo di training
  • verifica il corretto approntamento dell’impianto elettrico (per l’emodialisi e per la dialisi peritoneale automatizzata) e dell’impianto idraulico (per l’emodialisi)
  • fornisce le apparecchiature (per l’emodialisi e per la dialisi peritoneale automatizzata)
  • fornisce tutti i materiali di consumo
  • esegue periodicamente i controlli clinici e di laboratorio
  • assicura l’assistenza telefonica per la risoluzione di eventuali problemi clinici e tecnici
  • assicura la gestione delle eventuali complicanze
  • assicura, se necessario, la prosecuzione della terapia presso il Centro
  • assicura la comunicazione con il medico di medicina generale dell’assistito.

La dieta

Alimentarsi in maniera corretta è fondamentale per la buona riuscita di ogni programma di dialisi e aiuta a mantenere o a recuperare una buona condizione fisica. Nefrologo e dietista potranno consigliare una dieta personalizzata e gli alimenti da escludere o da assumere in quantità limitata. Non è comunque più necessario usare alimenti speciali (aproteici).

La dieta in corso di dialisi prevede:

  • proteine in quantità normale
  • potassio e fosfati in quantità ridotta
  • sale e liquidi in quantità ridotta
  • pochi grassi animali.

In dialisi peritoneale si consiglia di assumere una maggiore quantità di proteine e generalmente la scelta degli alimenti è meno limitata rispetto all’emodialisi.

Il potassio è presente in quasi tutti gli alimenti. Nefrologo e dietista conoscono il contenuto di potassio dei diversi alimenti e consigliano quali scegliere. Per diminuire l’assunzione di potassio si deve:

  • mangiare poca frutta e poca verdura
  • evitare legumi, frutta secca, banane, albicocche, brodo vegetale, cioccolato, integratori minerali e sali dietetici.

I fosfati sono presenti in quantità elevata negli alimenti che contengono molte proteine. Per diminuire l’assunzione di fosfati si deve:

  • bere poco latte
  • evitare o ridurre latticini ed alimenti conservati con polifosfati o che contengono ortofosfati (cocacola, spuma, ecc.).

Il lavoro

Molte persone in dialisi possono svolgere quasi tutte le normali attività e quindi lavorare a tempo pieno o parziale, andare a scuola, occuparsi della casa e della famiglia. Molte persone non interrompono il loro lavoro neppure quando iniziano il trattamento o lo riprendono al più presto. È comunque necessario conciliare l’orario di lavoro con il programma dialitico ed è utile una certa flessibilità dell’orario di lavoro.

Chi esegue l’emodialisi presso un Centro può generalmente scegliere il “turno” che meno interferisce con l’orario di lavoro. L’emodialisi viene quasi sempre eseguita tre volte alla settimana o di mattina o di pomeriggio. In alcuni centri è possibile fare la dialisi anche di sera. I “turni” però sono fissi ed occorre rispettare gli orari. Chi effettua l’emodialisi a casa è più libero di scegliere ed eventualmente variare l’orario delle sedute, ma deve comunque accordarsi con il Centro dialisi.

Il programma di dialisi peritoneale può essere impostato tenendo conto degli impegni lavorativi. Chi esegue la CAPD può effettuare uno o due scambi al giorno sul posto di lavoro, purchè disponga di uno spazio pulito ed isolato. La dialisi peritoneale automatizzata (APD) lascia le ore diurne completamente libere, tranne nei casi in cui sia utile eseguire anche uno scambio nel corso della giornata.

I rapporti con gli altri

Una buona conoscenza della propria malattia e della terapia dialitica praticata consentono di conciliare le proprie attività ed abitudini con i cambiamenti causati dalla malattia e dalla terapia. I consigli del nefrologo e degli infermieri di dialisi, insieme al supporto di familiari ed amici, favoriscono la progressiva realizzazione degli adattamenti necessari. Chi fa dialisi può svolgere una normale vita di relazione; potrà quindi andare a pranzo o a cena al ristorante o a casa di amici, assistere ad uno spettacolo, praticare uno sport a livello non agonistico, fare un viaggio o una vacanza. Il consiglio del nefrologo sarà importante per decidere se dedicarsi ad una attività sportiva e come organizzare un viaggio od una vacanza. Chi esegue l’emodialisi può prendere accordi con un altro Centro dialisi per essere “ospitato” per una o più sedute. Chi fa la peritoneale può richiedere al proprio Centro dialisi di ricevere il materiale occorrente direttamente nelle destinazioni prescelte.

Anche la vita sessuale può continuare senza cambiamenti. Il disagio per la presenza del catetere peritoneale viene solitamente superato indossando una piccola fascia.

Il trapianto renale

Attualmente la percentuale di successo dei trapianti è molto alta e il trapianto renale costituisce la modalità più completa di terapia sostitutiva della funzione renale; infatti, corregge l’insufficienza renale meglio della dialisi perché svolge tutte le funzioni di un rene normale.

Un rene prelevato da donatore vivente o deceduto viene collocato nella parte anteriore dell’addome, lasciando nella loro sede i reni che non funzionano più.

Durante l’intervento chirurgico l’arteria e la vena del nuovo rene vengono collegate ad un’arteria e ad una vena del ricevente; il nuovo uretere viene collegato alla vescica. In alcuni casi particolari di trapianto da donatore deceduto, può essere opportuno trapiantare entrambi i reni ad una sola persona. È necessario un attento studio con esami strumentali e di laboratorio per valutare se la persona è idonea a ricevere l’organo e se può tollerare la terapia anti-rigetto che dovrà poi proseguire nel tempo per salvaguardare l’organo trapiantato.

Trapianto da donatore vivente

La legge italiana permette, con l’autorizzazione del giudice, il trapianto tra consanguinei (genitore, fratello, figlio, ecc.) e tra non consanguinei (coniuge, ecc.). L’eventuale donatore viene studiato per valutare la “compatibilità” con il ricevente ed escludere possibili conseguenze negative sulla sua salute o su quella del ricevente. Questo trapianto può essere effettuato anche prima che la persona malata inizi la dialisi.

Trapianto da donatore deceduto

Il trapianto da donatore deceduto viene effettuato di norma dopo un periodo di dialisi. Il rene può essere prelevato dal cadavere a cuore battente di persone vittime di incidenti mortali o decedute per lesioni cerebrali in assenza di altre malattie. Una commissione accerta l’avvenuta “morte cerebrale” secondo criteri molto precisi fissati dalla Legge e autorizza il prelievo degli organi. Il numero di organi da donatore deceduto non è sufficiente a soddisfare tutte le richieste ed è necessario iscriversi in lista di attesa.

La lista di attesa

Chi è idoneo al trapianto e attende un organo da donatore deceduto deve iscriversi in lista di attesa presso un Centro autorizzato ad effettuare i trapianti e deve eseguire controlli periodici, perché la durata dell’attesa non è prevedibile. Quando è disponibile un rene da trapiantare, viene individuata tra le persone in lista di attesa quella più adatta a ricevere quell’organo in base alle caratteristiche del donatore e del ricevente ed alla “compatibilità” tra le loro cellule.

La persona selezionata viene convocata dal Centro trapianti il quale, dopo un definitivo controllo clinico di idoneità, provvede ad effettuare l’intervento.

La vita dopo il trapianto

La persona con un trapianto funzionante non deve più effettuare la dialisi e può, quindi, essere molto più libera nella gestione della propria vita.

 Deve, tuttavia, sottoporsi ai controlli consigliati dal Centro trapianti ed assumere scrupolosamente tutte le medicine prescritte per evitare il rigetto dell’organo trapiantato. Infatti l’organismo riconosce come diverso il nuovo rene ed è necessario assumere farmaci che riducono la capacità di reazione del sistema immunitario, controllare spesso la regolarità del funzionamento del rene e riferire tempestivamente al neurologo l’insorgenza di qualunque problema di salute.

Le complicanze

La terapia necessaria per evitare il rigetto riduce le capacità di difesa dell’organismo contro le infezioni e, nel lungo periodo, può aumentare il rischio di sviluppare una neoplasia. Nonostante si seguano tutte le prescrizioni, può talora verificarsi un rigetto che deve essere curato con terapie più impegnative.

Se la funzione del nuovo rene diventa insufficiente è necessario riprendere la dialisi e sottoporsi agli accertamenti necessari per iscriversi nuovamente in lista di attesa per un secondo trapianto.

Assistenza alla persona emodializzata

Per effettuare l’emodialisi è necessaria la presenza di un accesso vascolare chiamato Fistola Artero-Venosa (FAV), che viene creato tramite intervento chirurgico sul braccio della persona.

La fistola non si vede esteriormente e rappresenta la sede da cui il sangue viene prelevato e reimmesso nell’organismo dopo la depurazione. Si predilige, se possibile, il braccio che viene meno utilizzato nella vita quotidiana.

L’emodialisi si esegue 3 volte la settimana, a giorni alterni: lunedì – mercoledì – venerdì oppure martedì – giovedì – sabato al mattino o al pomeriggio ad orari stabiliti, generalmente si effettua in una struttura sanitaria. La durata del trattamento dialitico è di circa 4 ore a seduta.

Terminata la dialisi la persona può tornare a casa. Il braccio della FAV, solitamente, presenterà 2 medicazioni sulle sedi di bucatura della vena che verranno rimosse il giorno successivo alla dialisi.

È necessario controllare che i tamponi siano puliti: in caso di sanguinamento è importante tamponare il foro di bucatura esercitando una pressione manuale, fino all’arresto dell’emorragia; in caso contrario avvisare subito il centro dialisi.

Questo trattamento dura tutta la vita e può essere interrotto solo qualora venga effettuato un intervento di trapianto renale.

La presenza della FAV prevede il rispetto di alcune regole generali:

  • controllare frequentemente la sua funzionalità (presenza del trillo) mediante il palmo della mano. (l’addestramento sarà curato dal personale sanitario del centro dialisi). Nel caso si percepisca una variazione o assenza del trillo è opportuno avvisare tempestivamente il medico nefrologo del centro di riferimento
  • non misurare mai la pressione Arteriosa sull’arto della FAV
  • non eseguire punture o prelievi dai vasi utilizzati per la dialisi
  • non applicare fasciature strette o portare pesi
  • non indossare indumenti troppo stretti che possano fare da laccio
  • non dormire sul braccio della FAV
  • non togliere le crosticine delle punture eseguite durante l’emodialisi
  • lavare il braccio, senza timore, con acqua e sapone.

In caso di cute arrossata, dolente o calda è opportuno avvisare il medico nefrologo del centro dialisi o il reparto di Nefrologia di riferimento.

 L’eparina che viene utilizzata per prevenire la coagulazione del sangue nel circuito extra corporeo utilizzato durante la dialisi, è una sostanza che resta attiva per 4-8 ore.

 Per l’alto rischio di emorragia, terminata la dialisi non si deve:

  • praticare iniezioni intramuscolari
  • sottoporsi ad estrazioni dentarie
  • sottoporsi ad interventi chirurgici ed indagini strumentali invasive (gastroscopia ecc.).

 È inoltre necessario fare attenzione:

  • nell’utilizzo di strumenti taglienti (coltelli, forbici, taglierini ecc.)
  • alle cadute accidentali che potrebbero comportare formazioni di ematomi.

L’alimentazione e il regime dietetico

La seduta dialitica oltre a depurare il sangue, serve a ridurre i liquidi in eccesso poiché i reni perdono progressivamente la capacità di eliminarli con l’urina.

La persona quindi tenderà ad accumulare i liquidi introdotti con l’alimentazione.

Per evitare l’accumulo dei liquidi, è consigliabile al proprio domicilio, utilizzare una bottiglia personale di ¾ di litro di acqua (750 ml.), che sarà la quantità giornaliera massima da bere. Bisogna fare attenzione al fatto che l’accumulo di liquidi non avviene solamente con l’introduzione di acqua ma anche attraverso l’assunzione di bevande: the, caffè, camomilla, limonata, birra, ghiaccio ecc.

Si ricorda che un bicchiere corrisponde a circa 200 millilitri. Anche i cibi solidi, come pasta, riso, polenta, frutta e verdura, contengono sempre una parte di acqua.

Va inoltre posta attenzione all’assunzione di certi alimenti per le sostanze che contengono, ad esempio: potassio, fosforo, calcio ecc.

Il potassio

Il potassio è un sale minerale contenuto nella quasi totalità degli alimenti (soprattutto frutta e verdura) e delle bevande. Ha un ruolo importante nello svolgimento dell’attività cardiaca (regola i battiti cardiaci). Se il contenuto di potassio è superiore o inferiore ai valori normali, possono verificarsi conseguenze anche mortali. Le persone in trattamento dialitico devono assolutamente controllarne l’assunzione per evitare conseguenze acute ed improvvise quali l’iperpotassiemia (potassio elevato). I segni premonitori sono: debolezza muscolare, disturbi del ritmo cardiaco e formicolii, sintomi da non sottovalutare.

Il fosforo

Il fosforo è un sale minerale che svolge importanti funzioni per le ossa. Anche il fosforo, normalmente eliminato dal rene, se si accumula nel sangue può determinare gravi ed invalidanti conseguenze a livello delle ossa e calcificazioni a carico dei vasi arteriosi.

Per mantenere un adeguato dosaggio del fosforo occorre intervenire sia con la dieta che con i farmaci. Gli alimenti di origine animale più ricchi di fosforo sono: latte, formaggi, carni, salumi, uova ed alcuni tipi di pesce. È importante sapere che anche la Coca Cola è una bevanda ricca di fosforo.

Il calcio

Il calcio e il fosforo sono mattoni di costruzione delle ossa. In caso di insufficienza renale il calcio passa dalle ossa al sangue causando l’indebolimento delle ossa stesse. Per evitare che ciò avvenga è spesso necessario somministrare calcio con la terapia per bocca.

La terapia

Essere dializzato non significa solamente sottoporsi alle sedute dialitiche programmate, ma anche modificare il proprio stile di vita attraverso l’adattamento delle abitudini alimentari e l’assunzione di farmaci. Tra i farmaci più comuni abbiamo il ferro e l’eritropoietina, che servono per correggere l’anemia (carenza di globuli rossi e di ferro).

Sono somministrati per via endovenosa o sottocutanea a fine dialisi. I farmaci antiipertensivi (per correggere la pressione elevata del sangue) vanno spesso mantenuti durante la dialisi e modificati secondo i valori della pressione arteriosa, che può variare anche in relazione alle oscillazioni del peso corporeo.

Sarà cura del medico fornire tutte le indicazioni al riguardo. La vitamina D per rinforzare le ossa, può essere somministrata per via orale o endovenosa. In alcuni casi può essere necessaria la somministrazione di altre vitamine.

Le complicanze

Le complicanze più comuni che possono insorgere durante la dialisi o subito dopo sono:

  • ipotensione: ossia diminuzione della pressione arteriosa. Si riconosce da: cute pallida, frequenti sbadigli, sudorazione, malessere, nausea. Ai primi sintomi coricare la persona con gli arti inferiori sollevati, controllare la pressione arteriosa ed avvisare il medico
  • crampi, contrazioni muscolari dolorose che si presentano soprattutto agli arti inferiori. I rimedi sono: eseguire dei massaggi per rilasciare la muscolatura o quando possibile appoggiare la gamba tesa sul pavimento e far pressione con tutto il corpo su di essa determinando l’allungamento del muscolo contratto
  • sanguinamento dal punto di inserzione degli aghi sulla FAV. In questo caso bisogna liberare l’arto dagli indumenti per individuare il punto esatto della perdita. Si esegue una compressione sul foro cercando di esercitare un’adeguata pressione
  • complicanze che possono insorgere tra una dialisi e la sua successiva sono: iperpotassiemia, edema polmonare acuto, aritmie cardiache, crisi ipertensiva, malattie infettive (provocate da virus e batteri).

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